Ponte San Rocco

Il Ponte di San Rocco è l’unica porta cittadina sopravvissuta alle demolizioni del XIX secolo. È un manufatto importante sotto molti punti di vista: architettonico, storico e artistico. Ma l’aspetto più interessante è che racconta l’intera storia della Città di Vimercate: il ponte vero e proprio sul torrente Mologora, con le sue attuali quattro arcate, risale all’epoca romana (III-IV secolo D.C.), mentre le due torri fortificate sono state costruite in epoche successive, seguendo lo sviluppo urbanistico del borgo, e rappresentano un interessante compendio di materiali e tecniche costruttive che va dal pieno Medioevo all’ottocentesco gusto Neo-gotico.

Piazza Castellana

Dal Ponte di San Rocco, oltrepassando la chiesa di S. Antonio e deviando verso convento delle Canossiane, l’ideale passeggiata verso il cuore del centro cittadino prosegue attraverso Piazza Castellana, il cui toponimo che suggerisce la presenza nell’antichità di un Castello. Una struttura castellana viene in effetti citata in alcuni documenti medievali, che descrivono un luogo chiuso da una fortificazione in cui sono presenti abitazioni e le due chiese principali: S. Stefano e S. Maria. Attualmente sulla Piazza si affacciano: casa Corio; Villa Marchini, gli edifici a corte sul lato settentrionale, una volta compresi nelle proprietà del Monastero di S. Lorenzo; gli edifici sul lato meridionale e l’abside della chiesa di S. Stefano.

Convento delle Reverende Madri di S. Gerolamo

Nel quadrilatero costituito da Via Cavour, via Terraggio della Pace, via Dozio-via Maddalena di Canossa e via Canonica esistevano, un luogo monastico femminile abitato dalle suore Orsoline e alcune case di loro proprietà. Il monastero delle Orsoline viene citato nel 1579, ma probabilmente l’edificio e la chiesa dedicata a S. Gerolamo esistevano già da molti anni. Nel XVII secolo e nel XIX secolo le madri di S. Gerolamo si dedicarono all’educazione delle fanciulle. Alla fine del XVIII secolo il monastero venne soppresso e venduto a privati che trasformarono gli edifici dell’antico monastero in un collegio maschile fino al 1841, anno in cui vi si insediarono le Suore Marcelline, che vi risiedettero finché nel 1915 la proprietà passò alle Madri Canossiane. Dell’antica chiesa di S. Gerolamo si conservano solo la facciata esterna e l’ingresso laterale interno, mentre è presente una chiesa realizzata in stile neo-gotico.

Oratorio di Sant'Antonio

La piccola chiesa di S. Antonio è di origine medievale ed è stata costruita in forme romaniche. Nel tempo numerose trasformazioni hanno arricchito gli esterni e gli interni di elementi architettonici e decorativi appartenenti a diverse epoche. Il culto di S. Antonio Abate è stato diffuso dai frati Antoniani, ordine mendicante e ospedaliero, nato nel XI secolo e riconosciuto nel XIII secolo. La dedicazione a S. Antonio potrebbe essere collegata all’organizzazione territoriale di questo ordine religioso, a sua volta connessa alle vicende dell’Ospedale dei Santi Cosma e Damiano. Di grande interesse sono tutte le decorazioni interne: i lacerti di affreschi che vanno dalla metà del XV secolo al XVI secolo; l’affresco seicentesco della parete di fondo dell’abside rettangolare; la pala d’altare e il dipinto in controfacciata.

Collegiata di Santo Stefano

La chiesa plebana di S. Stefano viene citata in un documento del 745, ciò indica la presenza di un edificio religioso costruito in epoca tardo-antica che ha poi lasciato il posto alla chiesa medievale di cui si conservano ancora molte tracce nell’attuale edificio. La chiesa di S. Stefano è infatti il risultato di una lunga e complessa serie di trasformazioni. Fu edificata tra il X e l'XI secolo utilizzando materiali di riuso appratenti ad edifici più antichi, anche di epoca romana. L'edificio ha pianta basilicale con tre navate e terminazione a tre absidi semicircolari ed è dotata di una cripta. La porzione centrale della facciata è stata trasformata nel XVII secolo e poi ancora nel XIX secolo. Sul lato meridionale vi è una imponente torre campanaria. All’interno l’apparato decorativo è costituito da affreschi del XIV secolo, del XVI-XVII e del XIX secolo.

Casa Corio

Il lato orientale di Piazza Castellana è chiuso da un Palazzetto antico, recentemente restaurato, che grazie ad una lapide conservata al suo interno è stato identificato come la dimora del nobile Corio che ospitò Francesco Sforza nel suo soggiorno vimercatese. Durante i lavori di restauro e recenti studi è emerso che l’edificio che vediamo noi oggi è il frutto di diverse trasformazioni avvenute nei secoli. L’attuale palazzo è costituito da due parti: una, forse la più antica, verso via Madonnina; la seconda all’incrocio con via Maddalena di Canossa, dotata di una ampia cantina voltata. Ultima porzione costruita è l’edificio che si affaccia su via Crispi. L’intero complesso è stato poi decorato nel XIX secolo con dipinti murali raffiguranti cavalieri medievali, a memoria dell’esercito sforzesco.

Palazzo Trotti

La famiglia Trotti acquisisce il Palazzo solo nel XVIII secolo, i precedenti proprietari erano i Secco Borella, feudatari di Vimercate dal Quattrocento. Si tratta di un palazzo costruito attorno ad un cortile e costituito da un corpo nobile con pianta a forma di C, da due ali laterali e da un fabbricato che si affaccia su Piazza Unità d’Italia. I Secco Borella nel XVII secolo decidono di realizzare una dimora degno del loro crescente prestigio anche a Vimercate e molto probabilmente scelgono di ampliare la casa che già possiedono. Tale scelta sembra essere confermata dallo studio della facciata incompiuta sul cortile nobile e dalla cantina voltata che si trova in corrispondenza dell’ala est del Palazzo. Mattoni e ciottoli raccontano come la residenza dei feudatari sia stata costruita in più fasi utilizzando i materiali provenienti dalle murature demolite della casa più antica. Una volta costruito il palazzo, i Secco Borella pensano ad una adeguata decorazione delle stanze con affreschi a tema mitologico realizzati tra l’inizio e la metà del XVIII secolo.

Villa Sottocasa e Museo Must

Villa Sottocasa deve il suo nome all’ultima famiglia proprietaria, ma, come per la quasi totalità degli edifici storici del nostro comune, la sua storia è molto più antica e corrisponde a quella delle famiglie che nei secoli lo hanno modificato ed abitato. Gli Sfondrati sono i primi proprietari e la loro dimora probabilmente era un edificio più piccolo di quello attuale e le cui tracce si ritrovano nella grande cantina voltata. Villa Sottocasa si compone di diversi fabbricati, molti dei quali sono il frutto di stratificazioni secolari come ci raccontano gli scavi archeologici eseguiti nell’ala sud, oggi sede del Museo Storico del Territorio – MUST. Il corpo nobile prima di assumere l’aspetto attuale ha subito molte trasformazioni, ciascuna voluta dalle diverse famiglie proprietarie. I Goldoni Vidoni e i Visconti di Brignano ampliano la casa quattrocentesca, i D’Adda realizzano la Cappella privata, Siro de Pietri chiama Luigi Canonica per varie opere tra cui gli interni, le Serre e il Maneggio e Luigi Ponti con la consorte Elisabetta Sottocasa ammoderna l’intero complesso, edifici e parco.

Casa Banfi

Casa Banfi è un complesso dalla storia millenaria. Andando a ritroso nel tempo, l’attuale denominazione di deve alla famiglia Banfi che nel 1799 acquistò il soppresso convento di S. Francesco, permettendo ai frati di poter rimanere fino alla morte dell’ultimo confratello. Con la scomparsa dei frati, la famiglia trasformò il convento in abitazione e da allora ci si riferisce all’ex convento di San Francesco come “casa Banfi”. La trasformazione in abitazione non ha cancellato le tracce delle vicende dei secoli passati, si riconosce facilmente l’impianto conventuale: la grande chiesa, il chiostro e il giardino sono infatti ancora presenti, anche se con altre destinazioni d’uso. La dedicazione della chiesa a S. Francesco risale al XVI secolo, anche grazie all’istituzione di una cappellania dedicata a S. Francesco voluta da Francesco Sforza, mentre tra il XIII e il XVI secolo il convento dei frati francescani era connesso con la chiesa e l’ospedale di S. Giovanni, luogo di ospitalità per i pellegrini sin dall’XI secolo, come attestato dalla sua posizione esterna alle mura del borgo medievale e i resti, ancora visibili, di una chiesa dedicata a S. Giacomo.

Villa Casanova

Villa Casanova sorge sulle preesistenze degli edifici di servizio del Monastero di San Lorenzo ed il giardino, come si evince dai catasti storici, era parte dei possedimenti dell’ente religioso. In seguito alla soppressione la proprietà venne frazionata e una parte divenne proprietà di Carlo Caglio e una parte di don Ferdinando D’Adda. La realizzazione della villa di gusto neoclassico può essere fatta risalire alla prima metà dell’Ottocento, e precisamente tra il 1832 e il 1846, come riportato nel 1857 in un documento catastale, con la proprietà Casanova. Nel 2002 l’edificio è stato oggetto di un restauro complessivo. Da via Garibaldi è visibile la facciata, che è caratterizzata da uno stile sobrio e da elementi decorativi quali fascia marcapiano, il cornicione sotto gronda, le cornici a timpano e le mensole che adornano le aperture, il balcone con parapetto a pilastrini ed il timpano centrale. Lo stile neoclassico utilizzato per gli esterni dell’edificio di metà Ottocento rispecchia la volontà di mettersi in dialogo con la prospicente Villa Visconti, poi Gargantini Piatti, andando a disegnare un piccolo brano di tessuto urbano secondo uno schema ordinato e coerente per stile e decoro.

Villa Gargantini Piatti

Villa Visconti, poi Gargantini – Piatti è stata edificata a partire dal 1805 su progetto di Leopoldo Pollak, chiamato a Vimercate dal “Mons. Prevosto Visconti” per progettare la propria abitazione e l’altare maggiore di S. Stefano. Rispetto al progetto iniziale del Pollack, l’edificio è stato poi realizzato con forme e soluzioni stilistiche in parte differenti e poi trasformato al suo interno numerose volte. Dopo l’iniziale destinazione ad abitazione privata, la villa ha ospitato la sede della Cooperativa Cattolica Santo Stefano, poi tra il 1922 ed il 1945 è stata trasformata in Casa del Fascio, tra il 1945 ed il 1946 venne adattata a Casa del Popolo e nel 1946 venne acquistata dal Demanio, che la adibì ad ufficio del Registro fino agli anni ’90 del XX secolo. Dell’edificio ottocentesco si riconoscono l’impostazione della facciata, la conformazione planimetrica ad U e alcune partizioni interne, ma a causa dell’abbandono degli ultimi decenni, nonché delle numerose trasforma si sono persi gli elementi decorativi esterni e buona parte di quelli interni, che forse rimangono sotto gli strati degli intonaci più recenti.